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Stranieri ovunque

Sessantesima Esposizione Internazionale D’Arte a Venezia

La Biennale Arte 2024 punta i riflettori su immigrati, espatriati, emigrati o rifugiati che si muovono tra il Sud e il Nord del mondo, ma anche a maestri d’arte che si sono sentiti estranei perfino a casa propria, appartenenti a diversità rispetto a quanto è tradizionalmente considerato “normale”.

Bordadoras de Isla Negra

Percorrendo i tanti padiglioni  dei Giardini e dell’Arsenale si intuisce una volontà esplicita di  dare risalto ad opere che usano il linguaggio del tessile.

 Entrando all’Arsenale in una grande sala ci accoglie Takapau, una grande stuoia in fasce di poliestere con tiranti in acciaio, realizzata dal Mataaho Collective della Nuova Zelanda. Tradizionalmente viene usata nelle cerimonie, in particolare durante il parto.

Filipinas in Hong Kong è una grande opera a trapunto di Pacita Abad dove l’artista illustra il suo interesse per l’esperienza degli immigranti.

Altro gigantesco manufatto tessile viene dal Cile da un gruppo di donne autodidatte, le Bordadoras de Isla Negra, che hanno ricamato con lane dai colori vivaci, singole stoffe raffiguranti ambienti diversi per realizzare uno spaccato del Cile, dal mare fino alle Ande.

 L’artista libica Nour Jaouda espone Everything touches everything else, tre arazzi dove ricrea elementi botanici decostruendo stoffe tinte con toni terrosi e ricucendole in tessuti stratificati.

Romana, ma vissuta a Parigi, Bona Pieyre de Mandiargues, nipote di Filippo de Pisis, in Toro Nunziale ci presenta un suo assemblaggio tessile dove integra brandelli di un abito da uomo, con una pittura che va dal rosso, al grigio, al marrone, al bianco.

Dall’Argentina, l’artista tessile della comunità del popolo wichì, Claudia Alarcòn fila e tinge le fibre di chaguar. Le sue opere hanno origine dalle storie raccontate dagli anziani della comunità.

Il nigeriano Sàngòdàre Gbàdègesin Ajalà è un pittore batik di tessuti  colorati a mano che grazie alla sua vasta conoscenza delle piante officinali crea tinture vegetali che permettono una straordinaria colorazione e ombreggiatura delle sue opere.

Dalla collaborazione artistica di Antonio Jose Guzman di Panama e Iva Jankovic, serbo, si è originato Orbital Ignition   un’istallazione di tessuti di colore indaco che sono legati alla storia coloniale e al commercio degli africani schiavizzati che hanno portato nelle Americhe la loro esperienza della coltivazione dell’indaco.

E’ la prima volta che le artiste cilene ignote arpilleristas espongono i loro tessuti. Stoffe lavorate e applicate con uncinetto e tecniche miste che ci ricordano le lotte per il cambiamento istituzionale in atto, dove è sempre presente un sole splendente di speranza.

 Shalom Kufakwatenzi, dello Zimbabwe, straniero in patria, con Under the sea incarna il desiderio di appartenenza. Nella sua opera tessile il materiale si adatta, si piega, si allunga, crea uno spazio al riparo della società. Il materiale è la iuta, la lana, lo spago per tabacco, il filo da pesca. I colori vivaci ricordano l’infanzia.

 Passando ai Giardini ci si avventura tra i vari Padiglioni e in quello centrale si trova l’opera della colombiana Olga de Amaral con Muro Tejido terruno 3 dove l’artista sperimenta il tessuto come scultura. La struttura è resa da fili verticali avvolti a spirale, intrecciati e legati insieme.

Interessante e colorato il padiglione degli Stati Uniti d’America. Jeffrery Gibson riflette le realtà delle comunità indigene la cui arte  è valorizzata, non cancellata; è via per il futuro. In If there is no struggle there is no progress le tecniche sono miste e interessante è l’uso di perline di vetro che creano vere sculture.

Jeffrery Gibson, If there is no struggle there is no progress

Perline di vetro le troviamo anche nel padiglione Canada, dove l’artista Kapwani Kiwanga riesce ad annullare attraverso un ‘installazione costituita principalmente da perle di vetro l’interno e l’esterno dell’edificio. Le conterie salgono dal pavimento verso le pareti e si riversano nel giardino, con gradazioni di colore diverse.

Da non perdere è il padiglione Francia dove Julien Creuzet ci fa entrare nelle fitte foreste della Martinica, in un mondo colorato di forme e volumi in movimento.

Questa Biennale è un esperienza da vivere.

biennale Venezia

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