Open Design Italia 2012

A fine novembre (23-25) ho partecipato ad una mostra internazionale del design autoprodotto e di piccola serie Open Design Italia, giunta alla sua terza edizione.
Alla mostra si accedeva tramite bando pubblico: i progetti di design selezionati sono stati settanta, con una forte presenza del tessile.
In questo ambito i progetti in concorso erano quattordici, con tecniche che vanno dalla tessitura, al feltro, alla sartoria, al disegno, stampa e ricamo su tessuto, nonché l’utilizzo di lane e feltri per oggetti di arredo. Anche fuori concorso il tessile era presente con cinque progetti in mostra.
L’evento si è svolto a Venezia, negli spazi degli ex magazzini Ligabue in zona universitaria, e faceva parte del Salone Europeo della Cultura, insieme ad altri padiglioni dedicati al Restauro e ai Beni Culturali che hanno registrato molti visitatori, contrariamente al nostro padiglione dove, ad eccezione di alcuni momenti più vitali, ci sono stati pochi visitatori.
Per quanto mi riguarda è stato interessante partecipare alla mostra in quanto occasione di confronto con tanti creativi che condividono la stessa passione e convinzione sulle ragioni dell’autoproduzione. D’altro canto c’è stata una delusione, ampiamente condivisa dalla stragrande maggioranza degli espositori che a fronte di un esborso di denaro considerevole (6/700 euro per l’affitto dello stand) non hanno avuto un riscontro nelle vendite. Obiettivo della manifestazione voleva essere proprio quello di mettere a contatto i produttori con il mercato ma come accennato sono mancati i numeri. Secondo quanto ci era stato comunicato dagli organizzatori, nelle passate edizioni si erano registrati circa 5000 visitatori, che qui non ci sono stati.
Forse andrà meglio ai vincitori: una giuria di esperti ha infatti selezionato un progetto di grafica, una libreria, uno di vetro di Murano e due di ceramica. Nessuna menzione per il tessile malgrado la folta rappresentanza di alto livello. La buona notizia è che circa trenta designer tra quelli che hanno partecipato alla mostra si sono ritrovati in rete e dopo un confronto in mailing list hanno deciso di dar vita ad un collettivo allo scopo di attivare una rete di collaborazioni. C’è chi ha offerto il proprio store per esposizioni temporanee in vista di eventi particolari e chi ha lanciato l’idea di organizzare mostre e iniziative nella prossima primavera. Al momento è work in progress.
Diana Biscaioli
Per quanto mi riguarda è stato interessante partecipare alla mostra in quanto occasione di confronto con tanti creativi che condividono la stessa passione e convinzione sulle ragioni dell’autoproduzione. D’altro canto c’è stata una delusione, ampiamente condivisa dalla stragrande maggioranza degli espositori che a fronte di un esborso di denaro considerevole (6/700 euro per l’affitto dello stand) non hanno avuto un riscontro nelle vendite. Obiettivo della manifestazione voleva essere proprio quello di mettere a contatto i produttori con il mercato ma come accennato sono mancati i numeri. Secondo quanto ci era stato comunicato dagli organizzatori, nelle passate edizioni si erano registrati circa 5000 visitatori, che qui non ci sono stati.
Forse andrà meglio ai vincitori: una giuria di esperti ha infatti selezionato un progetto di grafica, una libreria, uno di vetro di Murano e due di ceramica. Nessuna menzione per il tessile malgrado la folta rappresentanza di alto livello. La buona notizia è che circa trenta designer tra quelli che hanno partecipato alla mostra si sono ritrovati in rete e dopo un confronto in mailing list hanno deciso di dar vita ad un collettivo allo scopo di attivare una rete di collaborazioni. C’è chi ha offerto il proprio store per esposizioni temporanee in vista di eventi particolari e chi ha lanciato l’idea di organizzare mostre e iniziative nella prossima primavera. Al momento è work in progress.
Diana Biscaioli
Commenti (21)
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Un’esperienza amara: quella di partecipare pieni di speranza, investendo risorse e lavoro per ottenere poco o nulla.
Succede con una certa frequenza ed è difficile orientarsi. Grazie a Diana che ci ha raccontato la sua esperienza: spero che inneschi qualche riflessione e del dibattito.
Ribadisco, l’ho già detto, che questo anno è molto anomalo rispetto ai precedenti: i costi di partecipazione alle manifestazioni sono sempre troppo alti e le vendite sono poche o nulle, così non si coprono neanche le spese! Finchè l’economia è ingessata, la gente non si muove e non muove denaro il quale, ristagnando, non assolve al proprio compito, che è quello di circolare. Peccato, anche perchè assistiamo vendere alla grande oggetti prodotti sfruttando il lavoro nero o minorile…ricordo che eri così contenta, Diana, di essere a Venezia, un abbraccio, Cinzia
Il pregiudizio dell’onore e’ il prodotto di una civilta’ rudimentale. Scompare con l’avvento della lucidita’, con il regno dei vili, di coloro che avendo “capito” tutto, non hanno piu’ nulla da difendere.
E.M. Cioran “Sillogismi dell’amarezza”
Gentile Cinzia,
ci fa molto piacere avere commenti in merito all’evento e quello che pensano i nostri designer.
Volevamo solo spiegare lo scopo di tale manifestazione, che non è solo la mostra mercato, ma il fine è quello di far emergere e far conoscere l’autoproduzione e design di piccola serie nazionale ed internazionale ed un nuovo mercato che ne deriva.
Il lavoro che ha un evento di tale portata è quella di essere rete dove emerge il singolo designer e chi aiuta a produrre. Quest’anno abbiamo realizzato la carta d’identità dell’oggetto, richiesta per ogni oggetto esposto, dove ogni designer non solo specificava i dettagli di dove e come ha realizzato l’oggetto, ma anche con quale azienda o artigiano ha prodotto i propri oggetti.
Questa mappa geografica della creatività e produttività ha prodotto un catalogo che è stato inviato da prima dell’evento ed anche tutt’ora, ad aziende del settore e non solo interessate al design di autoproduzione.
Il successo dell’Opendesignitalia non è solo nelle presenze dei visitatori, ma nel lavoro di questi tre anni dove molti designer che hanno partecipato, grazie al sito dedicato dell’Opendesignitalia, del catalogo e della promozione tramite web, stanno realizzando oggetti con alcune aziende, ed alcuni di loro stanno collaborando tra di loro perchè conosciuti nelle passate edizioni, non solo alcuni designer che sono stati selezionati ad Opendesignitalia hanno avuto la possibilità di esporre ad altre mostre ed eventi ed hanno avuto visibilità su siti dedicati grazie ad un mediapartner come Ottagono, ed un lavoro di promozione che dura tutto l’anno.
La giuria di quest’anno ha visto esperti di più settori, i quali hanno commentato l’evento per la selezione dei designer e della qualità dei progetti, riconoscendo Opendesignitalia come il primo evento del design autoprodotto e di piccola serie internazionale.
Il fine del progetto dell’Opendesignitalia da tre anni è quello di creare una rete di contatti, designer, aziende, artigiani, piattaforme di vendita e conoscenza del design autoprodotto, la forza è nel progetto è anche nel far emergere la creatività del singolo designer che spesso non riesce per tanti motivi non solo economici a farsi conoscere.
Buon lavoro e buone feste.
Noto con piacere che gli organizzatori son voluti intervenire su questo nostro forum.
Sono certa della buonafede e delle ottime intenzioni e comprendo che dietro all’iniziativa ci sia una gran mole di lavoro.
Ho notato che il sito web di presentazione http://www.opendesignitalia.net è molto ben fatto. Quello che emerge però in tutto questo, a mio vedere, è che il questi nostri giorni bulimici, le spese della prototipazione e della messa a punto di progetti industriali ricadano spesso sulle spalle dei progettisti e che le aziende non siano disposte a finanziare la ricerca.
In un salone come quello da voi organizzato le aziende trovano idee da mettere a punto nei dettagli, ma già colladaute, elaborate, messe al confronto con il mercato.
I progettisti sperano di incontrare dei finanziatori e di passare dalla condizione di artigiani con una vocazione per il prodotto seriale alla condizione veramente desiderata: quella di designer.
Va di moda parlare di autoproduzione: ha l’allure di una cosa moderna, ma temo che il termine voglia dare al ‘doversi arrangiare da soli’ una patina fighetta.
Carissima Eva,
la invito a venire a nostri convegni dove in questi tre anni abbiamo invitato aziende, giornalisti e piattaforme che servono non solo a far capire al pubblico cosa sia autoproduzione, ma anche agli stessi designer che iniziano la loro prima esperienza. Opendesignitalia nasce dall’esperienza di un gruppo di poche persone che hanno partecipato a mostre come espositori, ed hanno portato le loro esperienze, sono anche autoproduttori e conoscono questo mercato tramite esperienze all’estero dove in Germania, Svezia, Danimarca i designer sono imprenditori di se stessi, creano il proprio sito, dove al designer non viene fatto assistenzialismo. Eventi sull’autoproduzione esistono in Europa da quasi dieci anni. Opendesignitalia nel 2010 ha fatto emergere e sottolineato l’esistenza dell’autoproduzione anche in Italia, fuori dai soliti canali di fiere o mostre dove i termini antiquati si mischiavano a qualcosa di attuale.
Grazie ad Opendesignitalia dal 2010, che è stata organizzata e realizzata in spazi non dedicati alle solite mostre, la gente conosce l’autoproduzione come una nuova forma di design, spesso il termine viene utilizzato in malo modo come è successo al Salone del Mobile del 2012, ma come tutte le nuove idee vengono poi riprese e spesso reinterpretate. Grazie per il confronto e vi auguriamo buone feste.
Mi piacerebbe conoscere meglio il fenomeno.
Ricordo al salone del mobile uno spazio abbastanza melanconico nel quale giovani designer proponevano i propri elaborati e avevano occhi speranzosi ogni qualvolta qualcuno si affacciava al loro stand con atteggiamento interessato.
Il nostro focus, è lapalissiano, è quello tessile, dove il lavoro a cavallo fra piccola serie e artigianato vero e proprio non è una novità. I tessitori un po’ fricchettoni degli anni ’70 si sono evoluti ed alcuni di loro se la passano benino, la maggior parte alterna l’insegnamento o il lavoro presso enti ed istituzioni al lavoro di produzione di piccole serie a marchio proprio. Inoltre, salvo rarissimi esempi, le entrate sono sostenute da mariti più o meno benestanti. (Il 90% dei nostri associati sono donne).
Ci sono alcuni laboratori più strutturati, che producono per le griffes, al prezzo più concorrenziale possibile ed usando manodopera generica.
Non voglio dare un quadro funereo, beninteso. Probabilmente l’Italia è un terreno particolare, nel quale il mercato non è attento alle piccole produzioni e non è disposto ad investirci su. Di media in Francia un lavoro ha un valore di mercato più alto del 30% – è un dato che so per certo – in Finlandia è lo stesso.
Educare il mercato è probabilmente l’azione più importante da compiere, ma richiede tempo, risorse e denaro. Senza forme di defiscalizzazione, sponsorizzazione o contributi è impensabile che i singoli designer possano sostenerne da soli i costi.
Open Design Italia, ma questo è esattamente il testo che avete inviato in risposta ad una mia mail privata il 10 dicembre…
Avete veramente scritto un unico testo da copiare e incollare in risposta ai commenti, sia pubblici che privati, che vi ha mosso ogni designer partecipante alla manifestazione?
Per mettere un pò d’ordine sul mio commento e contribuire allo sviluppo di questo post: ho scoperto solo ieri l’articolo di Diana.
Io sono un’altra delle partecipanti alla manifestazione, e condivido tutto ciò che Diana ha scritto. Per me Open Design Italia è stato un’amara delusione, ho l’impressione di aver investito molti soldi, entusiasmo ed energie inutilmente. Vendite pochissime, pubblico scarso, organizzazione molto confusa.
E’ vero che il sito dell’Odi è molto ben curato, e anche l’esposizione lo era, ma a me sembra una bella patinatura… in effetti, concretamente, la manifestazione non ha funziato.
Nonostante quel che scrive e dice l’organizzazione, i commenti di chi ha partecipato a Open Design Italia non sono positivi… tutt’altro, basterebbe ascoltare alcune delle voci di chi si trovava a Venezia.
Ho scoperto ieri con grande stupore che l’organizzazione di Odi ha scritto in risposta al post di Diana lo stesso identico testo che ha spedito anche a me via mail (mail privata in cui esponevo le forti criticità della manifestazione e la mia delusione in merito)… i testi si differenziano soltanto nell’intestazione “Gentile Diana/Gentile Stefania”, insomma… hanno fatto un copia incolla.
La lettera non è firmata, nonostante io l’avessi espressamente indirizzata alle curatrici della manifestazione.
Probabilmente molti di noi hanno ricevuto la stesa risposta e questo mi sembra ancor più deludente.
Non amo essere considerata una cifra e credo che, anzichè difendersi dietro tanta retorica e ipocrisia, l’organizzazione avrebbe potuto ammettere i propri errori, almeno in parte. Non sarebbero cambiate le cose, ma da un punto di vista umano sarebbe stato senz’altro più gratificante.
Ora, io ho stimato in questi anni il lavoro di chi ha curato questa e le passate edizioni dell’Odi, tra tante manifestazioni mi sembrava che avesse qualcosa di più da dire sulle modalità di un certo fare artistico e produttivo. Le mie recenti esperienze mi portano, mio malgrado, a riconsiderare la mia opinione.
Credo che l’aspetto positivo di questa situazione sia dato dalle relazioni che possono nascere tra noi designer, chissà, forse porteranno a sviluppi futuri e nuove collaborazioni.
Ma se questo avverrà sarà un nostro merito e non uno tra i principali meriti sottolineati dall’organizzazione.
Grazie Stefania per aver lasciato testimonianza.
Dal mio punto di vista non è tanto importante il fatto che O.D.I. abbia fallito i propri obiettivi, se con buona o cattiva coscienza (anche se capisco che per te e Diana questo sia importante) quanto capire cosa di sia di errato e migliorabile in questo.
Temo che il sistema dei saloni, delle campionarie, delle mostre-mercato (e per le esperienza più minute quello dei mercatini) sia arrivato alla saturazione e che quei pochi che hanno ancora curiosità di cercare nuove idee e di acquistare oggetti fatti a mano siano troppo pochi rispetto al numero di coloro che delle proprie passioni creative vogliono far mestiere.
Lo scrivo con desolazione e con tristezza, perché vi ho dedicato più di un ventennio di lavoro.
Gentile Eva,
grazie ancora del vostro spazio dedicato il nostro intervento era per spiegare in modo professionale il progetto ed il lavoro che stiamo portando avanti con grande passione, sforzi ed energie, proprio perchè come spiegavo ai nostri designer è un progetto, non solo un evento. In queste settimane stiamo continuando il lavoro, che dura tutto l’anno. L’evento per la qualità dei progetti, il tipo di progetto è stato considerato uno dei progetti più importanti di giovani progetti impresa, e penso che in un periodo come questo portare avanti un tipo di progetto non sia semplice. Crediamo da molti anni nell’autoproduzione e nel design di piccola serie e lo continueremo a portare avanti.
Grazie ancora del vostro contributo.
Io non metto in dubbio la buona coscienza di chi ha lavorato per la manifestazione, e personalmente mi dispiace anche molto che le cose siano andate così.
Certo è che esperienze simili non incoraggiano.. e generano confusione.
Per chi ha fatto della propria creatività un mestiere non è momento facile (anche se il periodo è complesso un pò per tutti), io nel mio piccolo mi consolo pensando che forse far della creatività un mestiere, facile non lo è mai stato.
Anche a me fa piacere che gli organizzatori siano intervenuti su questo forum e credo sia importante fare un riflessione insieme. Come ho scritto per me il bilancio e’ stato in positivo, ma non dal punto di vista economico che chiaramente considero un investimento.
Nel gruppo fb di Feltrosa sono emerse molte riflessioni interessanti al riguardo. Ne riporto una che considero una buona pratica, quella del gruppo di creativi di Incredibol che sono stati supportati dal Comune di Bologna. E’ cosi’ che dovrebbe essere secondo me: io mi autoproduco, tu ente pubblico o comune che sia, mi dai un sostegno con la promozione.
Un’ulteriore critica emersa riguardano la location e la scarsa pubblicita’ su Venezia dove non ho visto alcun manifesto o locandina. Sulla location: se fosse stata vicina alla Biennale, sarebbe stato molto meglio. Dei nostri amici architetti venuti da Roma ( due gruppi distinti) non hanno visto la mostra di odi perche’ immersi nella biennale, ci hanno raggiunti la sera. a mostra conclusa.
Un ulteriore riflessione che pure vorrei fare riguarda cio’ che sto portando avanti da tanti anni e cioe’ educare la manualita’ e formare uno spirito critico fin dalla primissima infanzia.
Per questo spesso nei miei incontri parto dal lavoro di Mari e Munari, anche solo per raccontare storie ed insegnare a disegnare un albero. Si parla tanto di crisi, ma i nostri centri commerciali straripano di gente e i negozi di giocattoli sono pieni di “monnezze” dove c’e’ piu’ imballaggio che contenuto. I nostri bambini non usano piu’ le mani per creare e sono rimasta di stucco quando lo scorso anno le maestre della materna del nord mi hanno confessato che le forbici le usano solo loro per ragioni di sicurezza! Io ho sempre lavorato da esterna nelle scuole, chiamata come esperta e pagata “a progetto”, purtroppo con i “tagli” all’istruzione le scuole non hanno piu’ nulla da investire. Forse voi che vivete in regioni piu’ “civili” non accusate ancora questo problema, ma nella “ricca” Lombardia e nel “depredato” Lazio la situazione e’ grave.
Ciao Diana,
se da una parte non mi piace il termine ‘assistenzialismo’, citato da OpenDesignItalia – mi puzza di neoliberismo, un’ideologia che sta mostrando da tempo la sua insostenibilità – non mi convince nemmeno il sostegno agli artigiani messo in atto da Camere di Commercio, Provincie, Centro Nazionale delle Ricerche ecc. I progetti finanziati ‘drogano’ la scena e non garantiscono necessariamente la qualità. Ho visto progetti costati bei soldi produrre piccole mostre e ancor più piccoli prodotti artistico/artigianali.
Detto questo concordo perfettamente con quanto affermi circa l’educazione.
La creatività è considerata da molti un carattere geneticamente connaturato alla stirpe italica, in realtà si educa e occorre investire in essa.
Per questo abbiamo organizzato un convegno sul tema lo scorso settembre e vogliamo avere un quadro sempre più dettagliato della situazione e conoscere esperienze positive da proporre come esempio ed ispirazione.
Voglio collaborare allo sviluppo di questo post proprio perchè il tema è cogente, siamo in un periodo di strano fermento, mostre, fiere, eventi sono all’ordine del giorno, tant’è che alla fine diventa estremamente difficile orientarcisi e scegliere quale vedere, presenziare o frequentare.
Il problema principale rimane, secondo me la sostenibilità, non con accezione ambientalista, sia beninteso, soprattutto non in senso stretto, bensì ad ampio raggio, ovvero, quanto, la nostra società italiana, così vessata, può tollerare ancora un atteggiamento “marketing oriented”? Nelle mie lezioni mi trovo spesso a fermare gli entusiasmi degli allievi che vorrebbero poter credere che la ditta X che non produce più in USA da anni, sta commettendo un azzardo nel comunicare il proprio supporto alla cittadina del midwest americano in cui tutta la popolazione ha perso il proprio lavoro dal momento che la fabbrica che dava lavoro a tutti quanti ha chiuso i battenti. E’ un azzardo bello e buono, è un boomerang mediatico in un panorama di coscienza aumentata, dove le magagne si scovano con un clic del mouse.
Questo ampio preambolo per supportare una mia tesi personale, ovvero, non si possono fare paragoni tra Italia e resto del mondo, non ci si può equiparare alla Germania, alla Danimarca, alla Svezia, quelli sono paesi con altre culture, con un potere economico ben diverso, con una forte componente (almeno per le ultime due) nazionalista e protezionista, dove lo stato si fa garante del benessere dei propri cittadini e dove (e questo vale per tutti i casi sopra citati) gli stipendi sono più alti.
Come fa un artigiano a vendere ad un pubblico che è sempre più povero? deve trasformarsi in industria ed industrializzare il proprio processo per abbassare i costi? con quali oneri economico/burocratici?
Il tema quindi, secondo me, rimane la SOSTENIILITA’ quanto, questo paese, riesce o riuscirà a sostenere i propri artigiani? gli artigiani proliferano se c’è un tessuto (tanto per tornare al telaio ed alla navetta) sociale che li sostiene, altrimenti non possono sperare di vendere una tantum a fiere, eventi e mercati che spesso sono clusters intasati di offerta e popolati da pubblici distratti e dai portafogli sempre più magri.
In questa ottica la mia idea di sostenibilità va di pari passo con il concetto di onestà intellettuale, ovvero non continuiamo a venderci fuffe e fanfulle, cerchiamo di vedere la realtà negli occhi, non potrà che farci bene.
Tanto per dire… oggi mi e’ arrivato un ordine di vestivasi dalla Svezia, tramite etsy… un mese fa’ dagli States, sempre per il feltro. In Italia, nelle mostre o dimostrazioni che ho fatto in questi ultimi tempi mi sembra ci sia ancora un attegiamento di scetticismo ma anche di ignoranza “e’ lana cotta?” chiede la stragrande maggioranza. Ora se aprissi una p.iva con il regime dei minimi, cosa che non intendo fare certo per tre ordini in un mese, non potrei esportare… altro che defiscalizzazione. Se ad un artigiano che si affaccia sul mercato viene impedito di vendere all’estero significa che i nostri politici e legislatori sono fuori dal mondo!
Per quanto riguarda il discorso di investire nella formazione o educazione che sia, spero ci sia ancora in piedi la rete del SiMarch, dei musei civici archeologici di Varese, con cui ho lavorato tre anni, proponendo tanti laboratori anche sul tessile, li era la provincia a finanziare e per i bambini tutto era gratuito: le domeniche in museo, le gite scolastiche, le giornate speciali, come quelle del patrimonio. Mi informero’ se stanno continuando ad operare. anche quest’anno.
Cara Diana,
Il regime dei minimi è stato soppresso da Tremonti poco prima di togliersi di mezzo: siamo di nuovo gettati in una fiscalità bizantina onerosissima. E’ una realtà triste questa dell’artigianato di ricerca, confinato giocoforza alla marginalità.
Anche io, che di tessitura e design tessile campo da tempo, ho una p.IVA da consulente e mi guardo bene dall’abbracciare l’attività di artigiana. E, credimi, non è una passeggiata nemmeno così.
il commercialista mi ha proposto di aprirla meno di un mese fa’…
http://www.professionearchitetto.it/news/notizie/14589/Nuovo-regime-dei-minimi-2012-novita-e-chiarimenti-dall-Agenzia-delle-Entrate
c’e’ sempre il veto di non esportare
Ciao Diana,
il consiglio che ti posso dare è di sentire anche il parere di un altro commercialista.
Per gli oggetti come tuo libero ingegno puoi fare ricevute per un massimo di valore all’anno, utilizzando il tuo codice fiscale, queste sono le esperienze che ti riporto di molti designer italiani e personali. Esiste una legge o decreto sul libero ingegno http://www.armesma.it/leggi.htm.
Speriamo di esserti stata utile. In bocca al lupo.
è un regime che si applica in effetti a nuove p. IVA e persone che hanno avviato l’attività dopo il 2007. In ogni caso si applica per 5 anni e poi si rientra nel regime ordinario.
Grazie Elena per il link alla pagina dell’Associazione Arti e Mestieri Manuali Creativi in Strada. E’ vero, anche i commercialisti sono depositari di una scienza molto negoziabile ed indefinita: meglio sentirne più d’uno. Ci sono quelli ultra legali ed i mezzi corsari. Addirittura ce ne sono di quelli che consigliano, e forse chiedono anche la parcella di una consulenza per aprire un’attività nel Regno Unito: una vera p. IVA. Dicono che sia ‘quasi legale’ e ‘senza rischio alcuno’. Anche Valentino Rossi ci aveva creduto…